2. Un ossicino che parla

Questa favola si trova presso i Masai delle steppe tra Kenya ed il Tanzania, ma anche tra i Kikuyu del Kenya centrale. Parla degli Irimu, i mostri cannibali tanto temuti da quelle popolazioni. Qui però il narratore fa notare che cade nella rete dei mostri solo chi, abbandonando ogni prudenza, si lascia lusingare da apparenze e promesse.

Due sorelle andarono a ballare la kibaata, danza tradizionale della gioventù e capitò loro di far conoscenza con un giovanotto che però era un irimu travestito. S’innamorarono di lui tanto che, finita la danza, non vollero abbandonarlo, ma lo seguirono a casa sua.

Giunti nei pressi della capanna, il giovane disse alle due fanciulle di attendere un momento: sarebbe tornato subito.
Entrato in casa, la pulì con cura, togliendo tutte i resti umani che erano sparsi un po’ dappertutto. Un ossicino però sfuggì alla sua attenzione e ando’ a rifugiarsi sul cornicione sopra al focolare.
Il giovane allora invitò in casa le ragazze, uccise un montone e preparò loro un pranzo succulento. Mentre stavano mangiando, approfittando d’un momento in cui il giovane era uscito, l’ossicino si sporse dal cornicione e chiamò le ragazze:
“Brave giovani, date un po’ di carne anche a me! Ero anch’io una ragazza come voi.”
“Come mai parli?” – chiesero
“Ero anch’io una ragazza come voi – ripose l’ossicino -. M’innamorai del giovanotto ad un ballo e lo seguii fin qui. Ma appena giunsi a casa sua, mi uccise e mi mangiò. Lo stesso ha fatto con molte altre ragazze incaute. Ora che lo sapete, fuggite finché siete in tempo!”
A sentir cio’ le fanciulle allibirono. Chiesero come potevano fare. L’ossicino spiegò:
“Verso sera, quando il giovane andrà a mungere le mucche, fuggite in fretta ed egli non vi sorprenderà.”
Le due sorelle seguirono il consiglio ricevuto dell’ossicino. Ma quando furono abbastanza lontano, la più giovane s’accorse d’aver dimenticato la sua collana.
“Aspettami, – disse all’altra - vado a prendere la collana e poi torno subito.”
La sorella cercò di dissuaderla, e le consigliò ch’era meglio ne comperasse un’altra al mercato. Ma tutto fu inutile.


La piu’ giovane quindi tornò indietro a prendere la sua collana. Ma mentre stava per uscire dalla casa del giovanotto con la collana, questi sopraggiunse, la fermò e le disse:
“Bella mia, tu resterai qui, mi occorre qualcosa da mettere sotto i denti.”
L’afferro’ e quasi stava per ucciderla, ma quella si inginocchiò e lo supplicò:
“Che vantaggio avrai se mi uccidi? Se mi lasci in vita, sarò tua moglie e ti aiuterò nei lavori dei campi e della casa.”
Il giovane accettò. Da lei ebbe un figlio che fu un irimu come il padre ed ogni giorno lo accompagnava alla caccia di uomini per mangiarli.
Un giorno la sorella maggiore, ch’era tornata a casa, ebbe voglia di andare a trovare la sorella minore per vedere come se la passava.
Per via cominciò a piovere a dirotto. Visto un grande albero, corse a ripararsi, e ricordandosi che la regione era infestata dai mostri cannibali, s’arrampico’ sulla pianta per non essere vista. Poco dopo, l’irimu, marito di sua sorella con il figlio, cercarono riparo sotto la stessa pianta. Il ragazzo alzò gli occhi e vide la donna sull’albero, si arrampicò e la buttò giù; poi, insieme col padre, se la mangiò.

Alcune riflessioni:
La felicità nella vita e’ un bene desiderato da tutti. Però bisogna cercarla dove si può trovare veramente.
Le due ragazze del racconto sono imprudenti: credono alle promesse del primo arrivato che le incanta con maniere gentili. Nemmeno quando viene loro offerta la possibilità di salvarsi sanno superare l’attaccamento ad una comune collana e neppure sanno rinunciare ad una semplice curiosità che però e’ troppo rischiosa.
“Chi e’ causa del suo mal pianga se stesso”, dice un proverbio. Alle conseguenze dei propri atti conviene pensarci prima, per quanto e’ possibile.

(da Cf: Ballarin Lino, Favole dall’Africa, la saggezza popolare nelle favole africane, EMI, 1986, p. 92-93).
(Foto: Manuela Buzzi.)

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